Ricorso  della  regione  Sardegna,  in persona del presidente della
 giunta regionale pro-tempore on. Mario Floris,  giusta  deliberazione
 della  giunta  n.  33/2 del 31 luglio 1990 rappresentata e difesa, in
 virtu' di mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof. Sergio
 Panunzio  e  presso di esso elettivamente domiciliata in Roma, piazza
 Borghese n. 3, contro la Presidenza del Consiglio  dei  Ministri,  in
 persona del Presidente del Consiglio in carica, per il regolamento di
 competenza in relazione al decreto del Ministro dei trasporti del  18
 maggio  1990  (comunicato il 7 giugno 1990) concernente facilitazioni
 tariffarie sulle linee di trasporto pubblico locale.
                               F A T T O
    Il  d.-l.  4  marzo  1989,  n. 77 (convertito con modificazioni in
 legge 5 maggio 1989, n. 160), reca "Disposizioni urgenti  in  materia
 di  trasporti e di concessioni marittime". Il terzo comma dell'art. 1
 di tale decreto legge stabilisce una ampia disciplina delle linee  di
 trasporto pubblico locale e delle relative tariffe. Fra l'altro, esso
 dispone che "Entro il 30 aprile 1989 le regioni stabiliscono, sentiti
 gli  enti  locali  interessati,  le  tariffe  minime per ogni tipo di
 servizio, distinte per zone ambientali e  socio-economiche  omogenee,
 nonche'  le  tariffe  effettive delle linee di concessione regionale.
 Entro  il  15  maggio  1989  i  comuni,  anche  in   mancanza   delle
 disposizioni   regionali   di  cui  sopra,  stabiliscono  le  tariffe
 effettive dei servizi di trasporto interni al loro territorio,  fatte
 salve le competenze in materia delle regioni a statuto speciale. Ogni
 disposizione statale  e  regionale,  o  delibera  comunale,  volta  a
 stabilire,   con   separati   provvedimenti,  speciale  facilitazioni
 tariffarie  deve  contestualmente   provvedere   a   ripianare,   con
 finanziamenti propri a carico dello Stato, della regione o del comune
 la minore entrata che ne risulta per le  aziende  interessate.  Dette
 speciali  agevolazioni  possono  avere  decorrenza  soltanto  dal  1º
 gennaio dell'anno successivo. Il Ministro dei trasporti, con  proprio
 decreto,  stabilisce,  entro  il  30 giugno 1989, per l'anno 1990, le
 facilitazioni tariffarie per le quali  lo  Stato,  le  regioni  ed  i
 comuni  devono  contestualmente provvedere, con finanziamenti propri,
 alla copertura della  minore  entrata  che  risulta  per  le  aziende
 interessate.  Per  le disposizioni e le delibere vigenti alla data di
 entrata in vigore del  presente  decreto,  il  ripiano  delle  minori
 entrate   che  risultano  per  le  aziende  interessate  avviene  con
 decorrenza 1º gennaio 1989. L'amministrazione  statale,  regionale  o
 comunale  provvede,  entro  il  31 maggio 1989, alla emanazione delle
 relative disposizioni e delibere".
    Recentemente  e'  stato  trasmesso  dal  Ministero  dei  trasporti
 all'assessorato trasporti della regione Sardegna il d.m. n.  963  del
 18  maggio  1990, con il quale - ben oltre il termine di legge del 30
 giugno 1989 -  il  Ministro  dei  trasporti  ha  emanato  il  decreto
 previsto dall'art. 1, terzo comma, del d.-l. n. 77/1989.
    Il  decreto  ministeriale in questione stabilisce, all'art. 1, una
 serie di categorie (privi della vista, invalidi di guerra, sordomuti,
 ecc.)  a  favore  delle quali "per l'anno 1990 sono riconosciute - ai
 fini del ripiano, a carico dello Stato attraverso il Fondo  nazionale
 trasporti,   delle   corrispondenti   minori  entrate  delle  aziende
 esercenti le linee di trasporto pubblico  locale  -  le  agevolazioni
 tariffarie".
    Viene  anche in particolare rilievo, ai fini del presente ricorso,
 l'art. 3 del d.m. 18 maggio 1990, il quale  stabilisce  che  "Per  le
 agevolazioni  tariffarie  vigenti  alla data di entrata in vigore del
 d.-l. 4 marzo 1989, n.  77,  le  minori  entrate  risultanti  per  le
 aziende  interessate  per  l'anno  1989 si intendono ripianate con le
 erogazion del Fondo nazionale trasporti per l'anno medesimo".
    Poiche'  la  surriferita  disciplina  del  d.m.  18 maggio 1980 e'
 illegittima e gravemente  lesiva  delle  attribuzioni  costituzionali
 della  regione  autonoma  della Sardegna, questa si vede costretta ad
 impugnarla, proponendo il regolamento di competenza  per  i  seguenti
 motivi di
                             D I R I T T O
    1. - Violazione, in relazione all'art. 1 del d.m. impugnato, delle
 attribuzioni regionali di cui agli artt. 3, lett. g); 4, lett. g); 6;
 e del titolo terzo (artt. 7-14) dello statuto speciale della Sardegna
 e delle relative norme d'attuazione  (spec.  artt.  59  e  segg.  del
 d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348); nonche' violazione degli artt. 3, 81,
 116 e 119 della Costituzione.
    Osserviamo   preliminarmente   come  il  decreto  ministeriale  in
 questione incida in modo particolare su di una materia di  competenza
 regionale  di grado primario, quale e' quella in materia di trasporti
 di interesse regionale di cui all'art. 3,  lett.  g),  dello  statuto
 (oltre  che  in  quella concorrente in materia di servizi pubblici in
 interesse regionalle, ex art. 4,  lett.  g),  dello  statuto;  ma  si
 considerino  anche  le  commesse  competenze in materia di trasporti,
 delegate dallo Stato:
 v. d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480, art. 8; e d.P.R. 19 giugno 1979, n.
 348, artt. 59 e segg., spec. 61). Si tratta dunque di una  disciplina
 che   comporta   per  la  regione  un  onere  di  spesa  che  attiene
 all'espletamento  di  un  servizio  pubblico  essenziale  di  propria
 competenza,  quale  e'  quello  dei  trasporti,  diretto a soddisfare
 rilevanti valori costituzionali (come quell inerenti al  diritto  dei
 cittadini  ad  avere mezzi idonei per circolare nel territorio, anche
 per motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche).  Un
 servizio  il  cui  espletamento  la  regione  e'  dunque  obbligata a
 garantire, pur avendo in genere poteri assai  limitati  di  controllo
 sulla  relativa spesa. Ma in particolare del tutto priva di poteri di
 controllo  della  spesa  e'  la  regione  nello  specifico  caso   in
 questione,  trattandosi  di  maggiori oneri a carico delle aziende di
 trasporto  locali  conseguenti  a   decisioni   tariffarie   adottate
 unilateralmente dallo Stato.
    Premesso, dunque, che il decreto ministerialle in questione incide
 su materie di competenza regionale,  occorre  ancora  preliminarmente
 ricordare  come  l'autonomia  delle  regioni,  e  quindi  anche della
 regione autonoma della Sardegna, trova  il  suo  essenziale  supporto
 nella  loro  autonomia finanziaria. Onde - come e' stato affermato da
 codesta ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21/1956  -  le  regioni  e
 province  autonome  hanno  un  "diritto  costituzionale  garantito" a
 disporre dei mezzi finanziari occorrenti per le spese  necessarie  ad
 adempiere  alle loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della
 regione ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art.  119
 della  Costituzione)  nello  statuto  speciale della regione Sardegna
 (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), spec.  artt. 7 e segg.
 (titolo  terzo)  anche  in relazione agli artt. 3-6, e nelle relative
 norme d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  la
 massima  parte  delle  loro risorse finanziarie sia costituita da una
 finanza "derivata", e cioe' consistente nei  periodici  trasferimenti
 di  risorse  da  parte dello Stato, ben si comprende come non solo la
 quantita', ma anche  la  regolarita',  la  tempestivita'  e,  in  una
 parola,  l'affidabilita'  di  tali  trasferimenti  sia essenziale per
 garantire alle regioni e province autonome  una  effettiva  autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    Cio'  premesso,  il  decreto ministeriale impugnato risulta essere
 sotto vari aspetti lesivo delle attribuzioni della  regione  autonoma
 della  Sardegna.  In  primo  luogo relativamente a quanto si e' visto
 essere disposto dall'art. 1 del decreto 18 maggio 1990.
    L'art.  1,  infatti,  stabilisce le agevolazioni tariffarie per le
 linee di trasporto  locale  relativamente  all'anno  in  corso  1990.
 Trattandosi  di  una  facilitazione tariffaria disposta dallo Stato a
 carico delle aziende di trasporto che gestiscono in Sardegna le linee
 locali,  come  stabilito  - in attuazione dei principi costituzionali
 sull'autonomia finanziaria regionale - dall'art. 1, terzo comma,  del
 d.-l.  n.  77/1989, spetta allo Stato di provvedere "contestualmente"
 con proprio finanziamento alla copertura della minore entrata che  ne
 risulta per le aziende interessate. Nel particolare caso in questione
 cio' dovrebbe  avvertire,  secondo  quanto  sembrerebbe  disporre  il
 decreto  impugnato, mediante un incremento della quota spettante alla
 regione del del Fondo nazionale trasporti, di cui  all'art.  9  della
 legge  10  aprile  1981,  n.  151.  In  realta', cosi' disponendo, il
 decreto ministeriale, anziche'  assumere  realmente  a  carico  dello
 Stato  l'onere derivante dalle agevolazioni tariffarie, in realta' lo
 lascia gravare per intero sulla regione ricorrente. Infatti, come  e'
 ben noto a codesta ecc.ma Corte, l'art. 18, primo comma, del d.-l. 28
 dicembre 1989, n. 415 - convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 38 -
 ha  "escluso" a decorrere dall'anno 1990 la regione Sardegna, nonche'
 le altre regioni a statuto speciale e le province autonome di  Trento
 e Bolzano dal riparto del Fondo nazionale trasporti di cui all'art. 9
 della  legge  n.  151/1981  (tale  disciplina  legislativa  e'  stata
 impugnata  dalla  regione Sardegna innanzi a codesta ecc.ma Corte, ma
 la questione non e' stata ancora decisa).
    Pertanto  non  esiste  per  la  regione  ricorrente alcuna risorsa
 finanziaria proveniente dal Fondo nazionale trasporti per il 1990 con
 la  quale  procedere  a  coprire  le  minori entrate delle aziende di
 trasporto sarde (ne' puo' esistere poiche', evidentemente, il decreto
 ministeriale in questione non puo' derogare al d.-l. n. 415/1989). La
 regione ricorrente, pertanto, al fine di coprire  le  minori  entrate
 delle aziende di trasporto sarde dovra' in qualche modo utilizzare le
 proprie risorse finanziarie distoglendole dal finanziamento delle sue
 normali funzioni.
    Pertanto,  l'art.  1  del  decreto  ministeriale  impugnato pone a
 carico della regione un aumento - del tutto  indipendentemente  dalla
 sua  volonta'  -  della  spesa per i servizi di trasporto, laddove la
 stessa  legge  espressamente  stabilisce  che   spetta   allo   Stato
 assumersene  l'onere  (oltretutto  in  un  settore  - come quello dei
 trasporti - in  cui  la  regione  non  ha  neppure  propri  strumenti
 efficaci  per  controllare  complessivamente tale spesa, e tanto meno
 per ridurla). E quindi si costringe la regione a ripianare il deficit
 risultante  dal mancato intervento finanziario dello Stato destinando
 a tali spese le risorse proprie che debbono  quindi  essere  distolte
 dai   loro   impieghi,  cosi'  riducendo  altri  tipi  di  interventi
 regionali,  ostacolando  l'esercizio  delle  normali  funzioni  della
 regione,  impedendole  una razionale programmazione degli interventi,
 sconvolgendo le stesse previsioni di bilancio.
    Dunque,  il  decreto  ministeriale impugnato, che attribuisce alla
 regione ricorrente la responsabilita'  finanziaria  per  un  aumento,
 stabilito dallo Stato, della spesa per un servizio volto a soddisfare
 un diritto costituzionale  dei  cittadini,  senza  fornirle  i  mezzi
 finanziari  necessari per farvi fronte, viola l'autonomia finanziaria
 della regione (artt. 3, lett. g), 4, lett.  g),  6,  e  titolo  terzo
 dello  statuto)  da cui discende pure - come anche da ultimo ribadito
 da codesta ecc.ma Corte (sentenza n. 314/1990) - la  "garanzia  della
 proporzionalita'  delle  spese  rispetto  alle  risorse disponibili e
 della certezza dei mezzi finanziari necessari" allo svolgimento delle
 funzioni   regionali.   Ed  al  tempo  stesso  tale  disciplina  lede
 l'autonomia regionale perche' viola anche il principio  di  copertura
 finanziaria stabilito dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione.
 Un principio, quest'ultimo, che si estende anche alle spese  accolate
 dallo  Stato  agli  enti  del  c.d. settore pubblico allargato, e del
 quale e' puntuale espressione l'art. 27 della legge 5 agosto 1978, n.
 468, secondo cui "Le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di
 minori entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al  precedente
 art.  25  devono  contenere  la  previsione dell'onere stesso nonche'
 l'indicazione  della  copertura  finanziaria  riferita  ai   relativi
 bilanci  annuali  e  pluriennali".  Un principio, aggiungiamo, che se
 vale  per  gli  atti  legislativi,  tanto  piu'   vale   per   quelli
 amministrativi (quale il decreto ministeriale in questione), come del
 resto espressamente ribadito nel caso di specie anche dal terzo comma
 dell'art. 1 del d.-l. n. 77/1989.
    La  fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero, nella
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che  in  piu'  occasioni  (ma
 spec.  con le sentenze nn. 245/84 e 452/89), proprio facendo leva sul
 necessario raccordo tra il governo del settore e  la  responsabilita'
 della  relativa  spesa  ha dichiarato la incostituzionalita' di norme
 legislative statali con le quali si veniva a far gravare sui  bilanci
 delle   regioni   e  delle  province  autonome  -  senza  disporre  i
 corrispondenti  trasferimenti  di   risorse   finanziarie   -   spese
 necessarie per il funzionamento (in quel caso) del servizio sanitario
 nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro a tali enti,
 o  comunque  da essi non controllabili: cosi' costringendo le regioni
 stesse (e le province autonome) a prelevare le risorse  necessarie  a
 colmare  il  deficit o dal fondo comune di cui all'art. 8 della legge
 n.  281/1990  (per  le  regioni  a   statuto   ordinario)   o   dalle
 corrispondenti  entrate  di  parte  corrente  previste dai rispettivi
 ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale  e  le  province
 autonome)  o  comunque dalla finanza "propria". Cosi' come le censure
 dedotte trovano conferma anche in quanto affermato  in  argomento  da
 codesta  ecc.ma  Corte  nella  sentenza  n.  307/1983  (n.  15  della
 motivazione in diritto),  che  pure  dichiaro'  incostituzionale  una
 legge  dello  Stato  che  obbligava  le regioni a ripianare i deficit
 delle aziende locali di trasporto attingendo alle proprie finanze.
    Infine  si  deve rilevare un ulteriore profilo della lesione delle
 attribuzioni regionali derivante dall'art. 1 del decreto ministeriale
 impugnato.   Come  si  e'  visto,  questo  stabilisce  una  riduzione
 tariffaria per l'anno 1990, pur essendo stato  emanato  nello  stesso
 anno  1990  (il  18 maggio 1990). Viceversa - come pure si e' visto -
 l'art. 1,  terzo  comma,  del  d.-l.  n.  77/1989  stabiliva  che  le
 facilitazioni  tariffarie  per  il 1990 dovevano essere stabilite dal
 Ministro dei trasporti entro il 30 giugno 1989.
    Si  potra'  anche  ammettere  che  la  data del 30 giugno 1989 non
 costituisca un termine perentorio. Cio' che peraltro  costituisce  un
 limite  non  superabile  per  lo  Stato  e'  il principio da cui essa
 discende, espressamente sancito subito prima - in via generale  dallo
 stesso  terzo comma dell'art. 1, secondo cui le agevolazioni disposte
 dallo Stato in corso d'anno "possono avere decorrenza soltanto dal 1º
 gennaio dell'anno successivo". Limite non derogabile, questo, perche'
 direttamente conseguente dall'esigenza di rispettare l'autonomia  non
 solo  finanziaria,  ma  anche  di  bilancio  e  programmatoria  della
 regione. Questa, infatti, non  puo'  in  alcun  modo  programmare  ed
 attuare  gli  interventi di propria competenza nei vari settori se le
 sue scelte  -  anche  in  ordine  alla  distribuzione  delle  risorse
 finanziarie - possono venire in tal modo successivamente sconvolte da
 non prevedibili decisioni dello Stato.
    Riassumendo.  La  disciplina  stabilita  dall'art.  1  del decreto
 ministeriale impugnato e' lesiva  delle  attribuzioni  costituzionali
 della   regione  ricorrente,  in  primo  luogo,  perche'  essa  viola
 l'autonomia finanziaria (e di programmazione degli interventi)  della
 regione  -  con  i  connessi  principi  di  copertura della spesa, di
 proporzionalita' delle spese  rispetto  alle  risorse  disponibili  e
 della  certezza dei mezzi finanziari necessari allo svolgimento delle
 funzioni - in materia, soprattutto, di trasporti (artt. 3, lett.  g),
 4,  lett.  g),  6  e  titolo terzo, dello statuto, nonche' artt. 59 e
 segg. del d.P.R. n. 348/1979 ed  art.  119  della  Costituzione),  ma
 anche  nelle  altre  materie  di  competenza propria (artt. 3-5 dello
 statuto). Cio' in quanto essa accolla alla regione ricorrente,  senza
 provvedere  a  fornirle i mezzi per farvi fronte, una nuova spesa che
 deve invece essere  assunta  dallo  Stato;  perche',  cosi'  facendo,
 scarica  sul  bilancio  della  regione  spese  di  cui essa non ha il
 governo e che non potranno essere sostenute dalla medesima altro  che
 stornando  proprie  risorse  finanziarie  destinate ad altri settori,
 cosi' riducendo la capacita' di spesa e di intervento  della  regione
 anche  nelle  altre materie di propria competenza; perche' cio' viene
 disposto dallo Stato per lo stesso  esercizio  finanziario  in  corso
 1990,  in  tal  modo  sconvolgendo le stesse previsioni di bilancio e
 tanto piu' gravemente impedendole una razionale programmazione  degli
 interventi di propria competenza.
    Si  osservi,  infine,  come  la  lesione  delle attribuzioni della
 regione ricorrente rileva anche sotto  il  profilo  della  violazione
 degli artt. 3 e 116 della Costituzione. In modo del tutto irrazionale
 ed  ingiustificato,  infatti,  l'art.  1  del  decreto   ministeriale
 impugnato discrimina la regione autonoma della Sardegna (analogamente
 alle altre regioni ad autonomia speciale ed alle province autonome di
 Trento  e Bolzano) nei confronti delle regioni ad autonomia ordinaria
 che ricevono per il 1990 la quota del Fondo  nazionale  trasporti,  e
 che  quindi potranno attingere a tale quota per provvedere al ripiano
 delle minori entrate delle aziende esercenti le  linee  di  trasporto
 locale.   Una   discriminazione,   questa,   che   oltre   ad  essere
 incostituzionale in se' e per se', e' in  contrasto  proprio  con  le
 ragioni  della  specialita'  dell'autonomia della regione ricorrente,
 sancita in primo luogo dall'art. 116 della Costituzione.
    2.  - Violazione, in relazione all'art. 3 del d.m. impugnato delle
 attribuzioni regionali di cui alle norme statutarie e  costituzionali
 gia' indicate in precedenza.
    L'art. 3 del decreto ministeriale impugnato stabilisce - come s e'
 detto all'inizio - che per le  agevolazion  tariffarie  vigenti  alla
 data  di  entrata  in  vigore  del d.-l. n. 77/1989 le minori entrate
 risultanti per le aziende di trasporto per l'anno 1989 "si  intendono
 ripianate  con le erogazioni del Fondo nazionale trasporti per l'anno
 medesimo".
    Anche  il  disposto  dell'art.  3  del  decreto  impugnato lede le
 attribuzioni costituzionalmente spettanti alla regione ricorrente  ed
 in  particolare  la sua autonomia finanziaria - per gli stessi motivi
 gia' illustrati in precedenza (e che qui si richiamano integralmente)
 ed   in   relazione   alle   medesime   disposizioni   statutarie   e
 costituzionali.
    E'  vero che, a differenza che per l'anno 1990, per l'anno 1989 la
 regione  ricorrente  aveva  avuto  assegnata  una  quota  del   Fondo
 nazionale  trasporti.  Proprio  perche' relativa al 1989, la quota in
 questione era pero' gia' stata trasferita alla  regione  prima  della
 emanazione del decreto ministeriale in questione (v. le relative note
 ministeriali dell'8 maggio, 28 giugno, 23 ottobre 1989, e 10  gennaio
 1990).
    Ma,  soprattutto, alla data di emanazione del decreto ministeriale
 18 maggio 1990 quelle risorse  finanziarie  erano  gia'  impegnate  e
 spese.  Cosa  ovvia, del resto, tanto e' vero che proprio per evitare
 una siffatta evenienza il  terzo  comma  dell'art.  1  del  d.-l.  n.
 77/1989  stabiliva - come si e' visto - che per le "disposizioni e le
 delibere vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto"
 che  disponevano facilitazioni tariffarie si dovesse provvedere anche
 in ordine al ripiano entro il 31 maggio  1989.  Ma  il  Ministro  dei
 trasporti  ha  ignorato  tale  termine,  e  comunque  la insuperabile
 esigenza di rispetto dell'autonomia  finanziaria  regionale  che  con
 esso la legge intendeva garantire.
    In conclusione, dunque, anche per quanto riguarda il ripiano delle
 minori entrate relative  all'anno  1989,  disposto  dall'art.  3  del
 decreto ministeriale impugnato, la situazione e' analoga a quella che
 - per la regione ricorrente  -  consegue  alla  disciplina  stabilita
 dall'art.  1  del  decreto per l'anno 1990. Vale a dire che anche per
 l'anno 1989, in realta', l'onere non e' stato assunto dallo Stato, ma
 e'  stato  scaricato  sulla  regione.  Questa  (non  potendo  neppure
 avvalersi della quota 1990 del Fondo nazionale trasporti, che non  le
 e'  stato  assegnato  a  seguito  di quanto disposto dall'art. 18 del
 d.-l. n. 415/1989) dovra' procedere al ripiano delle  minori  entrate
 delle aziende impegnando le proprie risorse finanziarie.